Pilato e Nicodemo. Un dialogo

MASSIMO_CACCIARI” PILATO E NICODEMO. UN DIALOGO “

di

MASSIMO CACCIARI

Adattamento e drammaturgia: LEO LESTINGI
Musiche: Mimmo Semisa
Personaggio: Nicodemo
2008

 

 

Nella sua più importante e difficile opera teoretica, Dell’Inizio (Adelphi, 1990-2001), Massimo Cacciari, celebre pensatore veneziano e attualmente Sindaco della città lagunare, ha inteso volgere il suo sguardo a quel “cominciamento”, l’”inizio”, appunto, che è il problema dei problemi del pensiero filosofico. A questa tranquilla inattualità nel porre senza indugi il problema di sempre della filosofia, corrisponde, in Cacciari, una novità perentoria nell’articolazione della forma, che si compone sottilmente dei tre modi della scrittura filosofica: il dialogo (quindi l’ironia, la ricerca), il trattato (quindi la sistematicità) e il parergon (quindi la frammentazione aforistica).

All’interno delle ponderose e ostiche pagine cacciariane, è posto un breve e straordinario dialogo immaginario fra il governatore romano Pilato e il fariseo Nicodemo alla vigilia della morte di Gesù. Cacciari intende, così, riflettere, “dando la parola” a quei celebri e discussi personaggi del mondo biblico, sull’impossibile confronto fra i due, portatori di due diverse visioni del mondo (quella pagana e quella ebraica), che paiono inconciliabili anche nei confronti di quel Figlio che aveva affermato di essere “la verità”. Questa presenza è avvertita dai due come una segreta oppressione (come può pretendere la verità di mostrarsi e di esistere, senza che cessi il dolore?); essi, pur affascinati dalla figura del Figlio, intendono resistere a quell’offerta di verità, non possono riconciliarsi con quella Parola. Se a Nicodemo fa scandalo l’”esodo” al quale sembra chiamare il Cristo, a Pilato fa scandalo la stessa idea di esodo (“…vuole salvare pecore che non vogliono esserlo, obbedisce a mandati che nessuno gli ha conferito”).

Di fronte al “no” di Nicodemo (dubitante, esitante, crepuscolare), Pilato sembra esprimere tutta la repulsione tipicamente romana nei confronti dell’”apolide”; gli dèi di Pilato sanno di non essere che teofanie e, in quanto teofanie, di passare; malinconici nel tramontare, ma di una malinconia che è sempre anche ironia di fronte al proprio inesauribile gioco e alla pretesa da parte di qualsiasi teofania di assolutizzarsi come l’unica. Ma è l’uomo-Gesù veramente l’àmbito delle loro contraddizioni? O l’ennesimo capro espiatorio sul cui sacrificio Pilato e Nicodemo intendono rifondare la “potenza dei vecchi”? Pilato afferma, dal suo punto di vista, l’umana impossibilità di una catarsi diversa da quella tragica; Nicodemo l’assoluta disperazione di fronte a tale impossibile.

Ma Cacciari sembra suggerire che, di fronte al Figlio, dunque di fronte alla verità che pretende di mostrarsi nell’esperienza di un uomo “nato senza peccato”, gli atteggiamenti di incredulità che animano Pilato e di Nicodemo simboleggiano quella difficoltà di ciascuno a prendere posizione di fronte a quel segno di contraddizione e allo stesso “scandalo” dell’oblazione di sé e della croce; ed essi, forse, “durano” anche nell’età che il Figlio, con la sua venuta, ha inaugurato.

In Pilato e Nicodemo. Un dialogo”, due attori così diversi come Lino De Venuto e Leo Lestingi, ma, nel contempo, uniti da un senso “alto” del proprio “fare” teatro, si confrontano, mettendo a servizio del difficile testo la propria acuta sensibilità artistica e culturale. Ne emerge un quadro mosso e sostenuto dalle appropriate musiche composte da Mimmo Semisa, nel quale la “scommessa” di affrontare con coraggio un testo non teatrale e non pensato e scritto per la scena si risolve in una suggestiva proposta drammatica, che sembra rammentare al pubblico l’antica e originaria vocazione del teatro a dibattere le autentiche questioni dell’uomo nella sua incessante ricerca della verità.

Leo Lestingi

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